da Bresciaoggi
IL CASO. È polemica per la scelta del presidente della Casa della memoria e dell’Associazione familiari delle vittime
«Sono qui a livello personale, perchè dobbiamo andare oltre le nostre diversità». Ma la Rete chiede le sue dimissioni
La manifestazione di protesta di ieri sera
CasaPound e la Casa della Memoria allo stesso tavolo. Fuori, a 300 metri, il presidio della Rete antifascista che grida allo scandalo e chiede le dimissioni di Manlio Milani, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di piazza Loggia, per aver accettato di partecipare al dibattito al President, a Roncadelle. Ma se il dispiegamento delle forze dell’ordine induceva a pensare all’agitazione, alla fine la protesta si è tradotta, verso metà serata, nell’occupazione di via Roncadelle da parte dei manifestanti con cori e striscioni. Nessuna autorizzazione, quindi, alla «Partecipazione indignata» che gli antifascisti avrebbero voluto, faccia a faccia con CasaPound. «Vogliamo le dimissioni di Milani, che si presenta a un convegno con quelli che si definiscono i fascisti del terzo millennio a nome dell’associazione che guida – tuona Giuseppe Corioni, della Rete -: è vergognoso». «Dopo la sentenza sulla strage Cpi cerca di legittimarsi politicamente attraverso squallidi momenti di rivisitazione storica» gli fa eco Walter Longhi.Eppure, dall’altra parte, seppur a distanza, Milani e CasaPound rispediscono le accuse al mittente con decisione. «Non sono qui a nome dell’associazione che rappresento, ma solo come Milani – precisa, pregando Cpi di precisarlo nella locandina -: non parlerò del processo, o del terrorismo di sinistra. Cercherò invece di affrontare con voi un percorso, che parte da me e finisce con me. Ho accettato – ribadisce – perché in questa memoria distratta dell’Italia che preferisce rimuovere gli anni’70, è necessario andare oltre le nostre diversità e incontrarci, senza limitarci ad osservare l’orrore in quanto tale, ma nel tentativo di trovare nella memoria elaborata degli insegnamenti utili rispetto al presente e al domani». Della stessa linea anche Adriano Scianca, responsabile cultura di Cpi (affiancato dal collega regionale Pietro Falagiani e da Gabriele Adinolfi del Centro Studi Polaris): «Questo è un incontro epocale nel panorama politico nazionale – dice -: Manlio è l’esempio di quel coraggio intellettuale che ci vede qui per parlare di stragismo come una ferita aperta nel cuore del Paese e come qualcosa che non ci appartiene naturalmente».
Quello di Manlio è un racconto, il suo racconto, fatto di contesti politici e sociali: l’iscrizione al Pci, l’amore per la resistenza e la Costituzione, gli incontri con i partigiani costretti a scegliere «per l’impossibilità di poter esprimere se stessi : per l’idea di poter vivere in una società libera». Come accadde per la manifestazione sindacaledi quel 28 maggio’74: «Quegli 8 morti sono ancora lì, a raccontare i valori di democrazia, lavoro, libertà di espressione – spiega Milani – Perché chi compì quella strage voleva sovvertire le istituzioni». Poi l’accenno alla responsabilità della destra eversiva per stessa ammissione dei camerati, gli attentati del prima e dopo piazza Loggia, e «i depistaggi delle istituzioni e dei Servizi deviati. Ecco dove sta l’impunità: il disegno eversivo si basa sulle collusioni. Allora, la memoria, deve prendere atto dei fatti e chiedere verità». Una storia che non piace poi tanto ad Adinolfi, certo che «le responsabilità del Pci siano enormi e che visioni come questa contribuiscano a non fare luce sulle stragi». In prima fila anche Benedetta Tobagi, «perché credo sia molto importante che Manlio abbia accettato di parlare con questi ragazzi: per spiegare che la violenza, è sempre sbagliata».
Mara Rodella