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Ecco la risposta di Haidi Giuliani alla solidarietà espressa dal c.s. 28Maggio per la sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo che assolve l’Italia dalle responsabilità della morte di Carlo Giuliani…

Perdonate se vi rispondo con un messaggio cumulativo: ho ricevuto moltissime telefonate, sms, email e non riesco a rispndere ad ognuno e ognuna di voi ma desidero ringraziarvi per la solidarietà che ci avete espresso, che noi sentiamo fortemente, e che ci aiuta davvero.

In piazza Alimonda abbiamo visto molti sassi, tra presunti e reali, ma questa sentenza è un macigno che coprirà tutto definitivamente.

Per questo motivo, e per il clima generale di “guerra” in cui viviamo, temo davvero che la causa civile non servirà a niente, se non a consumare le nostre energie residue, perché tutti gli errori sono stati fatti nei primissimi giorni (e non solo dai genitori di Carlo). read more

armi da brescia alla libia…

E’ accertato. Il governo Berlusconi nel 2009 ha autorizzato l’invio a Gheddafi di oltre 11mila tra pistole e fucili semiautomatici di alta precisione e di tipo quasi militare della ditta Beretta decidendo poi di non segnalarlo all’Unione europea”. Lo riportano in un comunicato, diffuso oggi alla stampa, la Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace.

Le due organizzazioni affermano di aver ottenuto i documenti di esportazione e presa in carico da parte dei funzionari del regime di Gheddafidelle armi transitate per Malta. Si tratta di 7.500 pistole semiautomatiche modello Beretta PX4 Storm cal. 9×19,di 1.900 carabine semiautomatichemodello Beretta CX4 Storm cal. 9×19 e di 1.800 fucili Benelli modo M4 cal.12 sempre della ditta Beretta esportate dall’Italia via Malta. read more

Giappone: esplosione in una centrale nucleare…e vorrebbero installarle anche da noi…

IL PROGRAMMA NUCLEARE IN GIAPPONE
Il Giappone possiede 52 centrali nucleari che soddisfano circa il 25% del fabbisogno energetico del paese. Il governo nipponico ha recentemente puntato al rilancio dell’energia nucleare mediante la progettazione di nuove centrali.

Il piano governativo del premier nipponico Koizumi prevede di giungere al 50% di copertura del fabbisogno nazionale tramite l’energia nucleare ma non sono poche le voci di protesta. Ovunque si cerchi di costruire nuove centrali atomiche sorgono dal nulla referendum popolari locali e proteste da parte dei cittadini. Ed i recenti incidenti alle centrali nucleari nipponiche non contribuiscono a ricreare un clima di fiducia tra i cittadini. read more

Delta in rivolta: pirateria e guerriglia contro le multinazionali del petrolio in Nigeria

da lottaunita.org

Da decenni la popolazione in Nigeria si batte contro lo sfruttamento selvaggio della propria terra da parte delle multinazionali del petrolio e del gas (tra le quali spicca la nostrana Eni-Agip), ma qui da noi il silenzio mediatico è al limite della censura. Sono decisamente rari i libri, infatti, pubblicati in Italia sulla rivolta che sta infiammando la Nigeria ed in particolar modo la zona del Delta del Niger, e non è affatto un caso strano, visto il livello di responsabilità e complicità del nostro paese nel conflitto dell’area.
Gli interessi dell’Eni, holding di San Donato Milanese, in questa regione strategica sono infatti enormi e la sua presenza risale al 1962: il petrolio del Delta alimenta le nostre automobili, il gas del Delta, attraverso i rigassificatori, accende i nostri fornelli e scalda le nostre case. Contemporaneamente il governo italiano non ha mai smesso di rifornire l’esercito nigeriano, al fine di reprimere il popolo in rivolta. Risale a febbraio del 2009, infatti, la visita del ministro degli esteri Frattini al presidente nigeriano Yar’Adua, in cui il ministro italiano ha assicurato ulteriori forniture e aiuti militari per reprimere la rivolta nel Delta a protezione delle estrazioni di gas e petrolio, dichiarando che “il governo nigeriano è interessato a usare tecnologie italiane, navi leggere, veicoli speciali, blindati Lince, aerei, tecnologie radar e controlli satellitari Alenia”.
La Nigeria oltre ad essere, con i suoi 130 milioni di abitanti, il paese più popoloso del continente africano, è anche il suo maggior esportatore di petrolio ed è il classico esempio degli esiti nefasti delle politiche coloniali nei cosiddetti paesi del terzo mondo.
Nel 1956, quando vennero scoperti enormi giacimenti di petrolio sotto le paludi del Delta del Niger, sogni e illusioni di prosperità dilagarono tra l’intera popolazione nigeriana, tutto sembrava possibile: una povera nazione africana miracolata da una smisurata e improvvisa ricchezza, quella dell’oro nero, poteva riscattarsi e autonomamente decidere del proprio futuro.
Gli unici, però, a trarre vantaggio dalle estrazioni di petrolio furono, e lo sono tuttora, da un lato le multinazionali degli idrocarburi, a cominciare dal colosso della Shell, che controlla circa la metà del greggio complessivo, passando per le varie Total, Mobil, Elf, Texaco, Chevron e la nostrana Eni-Agip, dall’altro la cricca di governanti ultra-corrotti nigeriani, mentre per l’intera popolazione fame, miseria e inquinamento.
L’avidità e la smania delle multinazionali, dunque, hanno svelato in poco tempo la terribile sentenza di morte che attendeva il popolo nigeriano: dopo mezzo secolo di sfruttamento dell’oro nero la situazione sociale, economica ed ambientale della Nigeria è, infatti, alla rovina. La Nigeria, dopo circa quattro decenni di produzione ininterrotta di petrolio, è diventata, dagli inizi degli anni novanta, completamente dipendente a livello economico dall’estrazione petrolifera generando, con la produzione del grezzo, il 40% del prodotto interno lordo. A dispetto delle incredibili ricchezze generate dal petrolio, i benefici della produzione di questa materia prima non hanno toccato la popolazione nativa che lentamente, dagli anni sessanta in poi, ha cominciato ad abbandonare le campagne e quella che è sempre stata l’attività principale: l’agricoltura. La produzione annuale di prodotti agricoli è crollata nell’ultima decade del XX secolo; la produzione di cacao è diminuita del 43% (la Nigeria era una delle più grandi esportatrici di cacao negli anni sessanta); la produzione del grano è diminuita del 29%, quella del cotone del 65%, quella di arachidi del 64%. La maggior parte degli strati della popolazione, specialmente di quella del Delta del Niger, sono rimasti poveri e degradati esattamente come negli anni sessanta. Il Delta del Niger ha una popolazione stabilmente in crescita stimata in circa 30 milioni di persone (2005), il 23% circa della popolazione totale della Nigeria. La densità abitativa è tra le più alte del mondo con 265 individui per chilometro quadrato. Questa popolazione si sta espandendo al ritmo del 3% all’anno e la capitale del petrolio, Port Harcourt, sta subendo una enorme crescita urbana. La povertà e l’urbanizzazione hanno portato ad uno stato in cui la corruzione è un fatto acquisito. Lo scenario risultante vede una incredibile urbanizzazione non accompagnata da sviluppo economico; di qui la disoccupazione a livelli intollerabili.
Sull’argomento è stato pubblicato a giugno di quest’anno un interessante libro dal titolo “Delta in rivolta” a cura di Daniele Pepino, ediz. Porfido, che volentieri segnaliamo con questo breve articolo perché lo riteniamo un eccellente contributo alla comprensione del conflitto in corso e degli interessi delle multinazionali nell’area ed anche un prezioso megafono di quel grido di rivolta e di dignità da cui gli animi intorpiditi di noi “privilegiati” d’Occidente avremmo molto da imparare. Da decenni la popolazione, infatti, si batte contro lo sfruttamento selvaggio della propria terra da parte delle multinazionali del petrolio e del gas e tra occupazioni di impianti e sabotaggi, manifestazioni non violente e azioni di guerriglia, una multiforme resistenza dimostra come sia ancora possibile opporsi alla devastazione sociale e ambientale che il capitalismo porta con sé.
Ed è in questo contesto di forte povertà e tentativi di resistenza che negli anni 2005 e 2006 nel Delta del Niger ha fatto la propria comparsa il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger, gruppo di guerriglieri caratterizzato da un’organizzazione forte e da obiettivi precisi, quali la liberazione della regione dalle multinazionali straniere e il controllo delle ricchezze del sottosuolo da parte delle popolazioni native considerate legittime. In questo contesto, vengono tutt’oggi portati a compimento attacchi di guerriglia di varia natura tra i quali distruzione di oleodotti e sequestri di personale di compagnie petrolifere.
Vogliamo concludere questo scritto con la prima parte dell’introduzione del volume “Delta in rivolta”, con la speranza che la voluta brevità dell’articolo abbia solleticato il vostro interesse nel leggerlo e soprattutto vi abbia convinto, in questo periodo di censura e oscurantismo, della necessità di documentarsi sulle esperienze di lotta e resistenza che si sviluppano nel mondo, perché, anche se vogliono avvolgerli nel più rigoroso silenzio, ci sono milioni di persone che si battono contro i dettami del nuovo ordine mondiale ed urlano che questo non è il mondo migliore possibile!
< In Nigeria, tutte le speranze nella democrazia e nel benessere suscitate dall’indipendenza e dalla scoperta del petrolio, sono naufragate tra le paludi del Delta del fiume Niger, affondate dallo sfruttamento selvaggio di multinazionali come la Shell, l’AGIP, la Chevron e dai corrotti governi locali. All’ombra di un cielo inquinato e di un mare senza pesci, «la gente ha cominciato a pensare: “Dobbiamo armarci se non vogliamo morire”. La violenza genera violenza. E quando una persona perde la speranza, si sente devastata, e finisce per dire: “O combatto o tanto vale che muoia”». Così, a bordo di motoscafi veloci, con passamontagna, fucili automatici e kalashnikov, i ribelli del Delta sono passati al contrattacco, sabotando l’industria del petrolio. Sono la voce armata di una intera popolazione, stremata da decenni di saccheggio delle risorse e dalla repressione militare che tenta in ogni modo di stroncarne le proteste. Si battono per la fine dell’inquinamento delle loro terre, per il risarcimento dei danni subiti e la restituzione delle risorse alle comunità locali. Questo libro è un omaggio alla loro battaglia. read more

Dove finiscono i soldi dei tiranni?

da Carta.org

I tempi sono proprio brutti per i dittatori. Una volta i tiranni in pensione, finivano le loro vite in belle proprietà in Inghilterra, in Francia, Italia o in Svizzera. Non venivano disturbati da nessuno e potevano continuare a spendere le loro fortune colossali sparse per le varie banche del mondo ricco. Anche Bocassa «l’Orco della Repubblica Centro Africana» alla fine non se l’è spassata troppo male.

Oggi questo stesso mondo ricco sembra non volerli più accettare sulle proprie terre dopo averli spremuti. Sono costretti ad esili sempre dorati, ma lontani dal mondo libero e democratico. Sono diventati quasi come i rifiuti radioattivi, non si vuole metterli definitivamente al bando della storia, però tutti li tengono lontani dalla propria casa. read more

Lampi di Cassandra/ Vi ricordate di Julian? di Marco Calamari

Roma – Penso di si, di Julian un ricordo lo dovreste avere. Non parlo del clamore suscitato dal sito Wikileaks nell’ultimo anno. il sito c’era anche prima, ma le azioni di pubblicazione che aveva effettuato non avevano raggiunto quella massa critica che le rende notizie di cronaca e che automaticamente ne moltiplica la risonanza ed i (positivi) effetti.

Non parlo neppure delle sue peripezie in giro per il mondo per essere un bersaglio meno facile, culminate nella sua vicenda giudiziaria anglo-svedese che lo vede oggi bersaglio di una ormai concessa estradizione dal Regno Unito alla Svezia. read more

Don Gallo a Bossi: «Nessuno può fermare i migranti»

da IlsecoloXIX.it

«Le parole di Bossi sono inutili, nessuno può fermare i fenomeni migratori, sono come un fenomeno sismico». Don Andrea Gallo, fondatore e anima della comunità di San Benedetto al Porto di Genova, commenta così l’invito del leader della Lega Nord a mandare «in Francia e in Germania» gli immigrati in fuga dal Nord Africa.

«Per la probabile emergenza migratoria dal Maghreb serve l’impegno di tutta l’Europa, – aggiunge il sacerdote genovese a margine dell’inaugurazione di una nuova struttura d’accoglienza – e l’Italia deve cominciare per prima ad accogliere i profughi». read more

Italia primo fornitore europeo di armi alla Libia

da Unimondo.org

Gaeta, consegna di tre motovedette italiane alla Guardia costiera libica - Foto: Interno.it

L’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. I Rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari (qui l’ultimo rapportoun’analisi) certificano che nelbiennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE (circa 595 milioni di euro). Tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all’esportazione di armi agli apparati militari di Gheddafi, figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), la Germania (57 milioni), il Regno Unito (53 milioni) e il Portogallo (21 milioni). read more

I manifestanti sono ratti pagati dai servizi segreti stranieri

da Infoaut

gheddafi

I manifestanti sono ratti pagati dai servizi segreti stranieri” così Muammar Gheddafi nel video alla nazione definisce gli insorti. Il video è un concentrato di retorica politica, che se non fosse per le migliaia di vittime che gli fanno da corollario sembrerebbe quasi una farsa.

Comunque un dato è certo il passo verso laguerra civile è vicinissimo. “Non me ne andrò, rimarrò fino alla morte” e ancora “io sono il leader di una rivoluzione, non sono un presidente. Non ho un mandato da cui dimettermi”. Il tentativo del rais libico nel suo discorso è duplice: da un lato invocare la guerra e la repressione e quindi mettere paura ai suoi nemici, dichiarando per esempio che i migliaia di morti non rientrano nei suoi canoni di uso della forza “noi non abbiamo ancora utilizzato la forza, se ci troveremo costretti lo faremo”; dall’altro dare morale ai suoi. Incitarli in una nuova missione che trova le fondamenta nella “rivoluzione” del 1969 e nella necessità di difenderla dalle “bande di giovani drogati e ubriachi” pagati dalle potenze straniere. E inoltre di difenderla dagli integralisti islamici che vorrebbero trasformare la Libia in “una base di Al-Qaeda […] Volete questo? Che gli Stati Uniti occupino la Libia come hanno fatto con Afghanistan, Iraq e Somalia per sradicare l’estremismo islamico?” read more

info dal Chiapas

Abbandonati dai media ufficiali e non solo, un breve video informativo
sulla repressione a Bachajoin, in Chiapas.
Breve video co-realizzato con il Grupo de Trabajo “No Estamos Todxs”
sulla situazione a San Sebastian Bachajon,
registrato l’11 febbraio, dopo l’arresto di 117 compagni, 10 dei
quali ancora in carcere.
http://www.archive.org/details/InformeBachajon
durata: 6’40”
lingua: spagnolo
¡LIBERTAD PARA LOS PRESXS POLITICXS!
¡VIVA LA OTRA CAMPAÑA!