Uno spettacolo, quello di ieri sera, che non dimenticheremo…
Avevamo dinnanzi tre donne.
Donne che a volte vorrebbero morire, proprio come noi, perchè vedono il loro futuro e quello dei loro figli “bruciare”e simulano il trapasso, ma che non possono e non vogliono mollare…
Donne che alimentano la loro radicalità, che vogliono partecipare alla ricostruzione e donano (senza versamenti di assegni sui conti correnti) il loro corpo al corpo sociale, martoriato, umiliato, violentato, ustionato, deriso, per riprenderselo insieme a piene mani. Il corpo singolo e quello collettivo. R-I-A-P-P-R-O-P-R-I-A-N-D-O-S-E-N-E.
Ho pensato ieri, durante lo spettacolo, a una poesia di Mariana Blanco. La dedico a loro e a noi, donne e uomini resistenti.
L’ARGILLA E LE MANI
Ecco le mani e l’argilla.
Non abbiamo un piano perfetto e neppure lo vorremmo.
Solo sappiamo che l’argilla è buona e anche le mani;
abbiamo uno sciame di progetti che ronzano tra la realtà
e il sogno.
Vogliamo creare qualcosa.
Deve essere qualcosa di solido, forgiato da noi
costruttori in assemblea permanente,
e il farlo un atto ludico, erotico.
Deve essere disarmante,
che non renda omaggio alla forma,
che irriverenti possiamo trasformare
a seconda delle esigenze.
Deve essere qualcosa di bello
che protegga l’uomo per sempre dalla fame
con frutti abbondanti e vari
e lo protegga dal freddo
con la stupefatta novità del primo fuoco.
Deve essere forte, corazzato come una materia blindata,
capace di opporsi ai proiettili – tanti – dei nemici,
ma anche flessibile, malleabile
e di conseguenza terso e leggero.
Qualcosa che serva a conservare i sogni più insoliti
e i desideri con ali.
Una cosa che ci rincalzi la sera
abulici e pacati.
…Insomma un assurdo divino
una saggia follia organizzata e possibile
un perpetuo mobile che si crea e ricrea.
Ah, ma quante mani sono necessarie!
Non vuoi impastare un poco?