Non un passo indietro sui fatti di Cremona, quel che si doveva fare è stato fatto! La pratica dell’antifascismo militante si dovrà allargare non solo a saracinesche chiuse ma anche a covi aperti!
La manifestazione antifascista nazionale di Cremona di sabato 24 gennaio 2015 evidenzia con chiarezza che le istituzioni sono gli unici veri fuorilegge in quanto legittimano ciò che è illegale per la XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana del 1948, disposizione che stabilisce il divieto della “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”. A questa il legislatore ha aggiunto la legge Scelba e, ad integrazione della legge Scelba, la legge Mancino, che è il principale strumento legislativo che l’ordinamento italiano offre per la repressione dei crimini d’odio. Sia l’una che l’altra sono così odiate dai fasci che nei loro punti programmatici ne chiedono l’abolizione. Non importa l’esteriorità di cui si veste la singola formazione politica che ripropone il fascismo, quanto i principi che stanno alla base della sua azione politica quali: corporativismo, militarismo, violento nazionalismo, razzismo, discriminazioni verso le donne, gli omosessuali e le minoranze, principi che sono perseguiti con il ricorso a mezzi che mettono a repentaglio la convivenza civile.
Pertanto, se le istituzioni non rispettano le leggi dell’ordinamento statale, intervenendo con i poteri che la collettività ha loro attribuito, è inevitabile che qualcuno provveda a supplire alla loro latitanza con azioni di autodifesa politica e personale. Ed è quello che hanno tentato di fare i compagni a Cremona!
Le dormienti istituzioni sono responsabili della trasformazione dell’antifascismo di massa in antifascismo di minoranza, proprio perché sono lo strumento del potere borghese che non rispetta nemmeno le proprie leggi e dirige tutta l’aggressività del modo di produzione capitalista, nelle sue varie espressioni, contro il corpo sociale martoriato dalla crisi.
Questo sistema imperiale per risolvere i suoi problemi all’interno del perimetro nazionale gerarchizza in modo coloniale le forze produttive: le tensioni interne vengono strumentalizzate attraverso una logica di separazione che rompe il patto generazionale tra lavoratori, tra vecchi operai e neoassunti, tra lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori precari, tra italiani e immigrati.
C’è chi si sveglia in questo momento, scoprendo di essere circondato dai fascisti e chi invece da anni fa della battaglia antifascista la ragione della propria esistenza politica, unitamente alla lotta per una società comunista. Se l’intero movimento avesse sempre fatto dell’antifascismo una sua priorità, forse le sedi nazifasciste non sarebbero mai state aperte, perché avremmo fatto un’operazione culturale e di memoria che avrebbe impedito la loro crescita in un terreno fertilizzato dall’indistinzione fra destra e sinistra operata dall’ideologia culturale dominante.
Ora i fascisti li troviamo a difendere i padroncini e le famiglie italiane che vengono sfrattate per colpa della crisi, e anche fuori dalle fabbriche occupate, a sostegno dei lavoratori italiani che perdono il posto di lavoro, come è avvenuto all’Ideal Standard e alla Stefana di Brescia. Questo avviene perché essi, nel riempire gli spazi che noi abbiamo lasciato vuoti, ci rubano anche le parole d’ordine (contro il sistema bancario e finanziario, contro la speculazione edilizia, per il diritto alla casa, per la nazionalizzazione dei comparti strategici … ), le nostre figure di riferimento ( Ernesto Che Guevara, Peppino Impastato, Bobby Sands … ), e i nostri artisti (Fabrizio De André, Rino Gaetano, Guccini … ).
Noi compagn* del C. S. 28 maggio di Rovato (Bs) pensiamo che essere antifascisti non basta, che l’anticapitalismo è sterile se non è propositivo di una nuova società comunista: essere antifascisti significa battersi contro il sistema capitalista; perciò non possiamo allontanarci dalle masse sfruttate, che stentano a riconoscere il nemico di classe a causa della svendita dell’eredità storica del comunismo militante, realizzata col supporto del sistema mediatico che produce la fabbrica del falso e la dittatura dell’ignoranza.
Noi pensiamo che le avanguardie dell’antifascismo militante hanno il dovere politico di ricercare, in questa guerra di posizione, il consenso dei diseredati e di tutti coloro che non fanno parte dell’uno per cento della popolazione che concentra in sé ricchezza e potere. Quello che ci aspetta è un lavoro duro e in salita, ci vorrà la pazienza di Sisifo, perché dobbiamo imparare ad essere presenti quotidianamente sul territorio: un lavoro duro, spesso senza l’estetica delle fiamme rosso vivo, molto spesso in mezzo ai grigiori delle periferie senza speranza; perché siamo convinti che chi aspira ad una società comunista deve sempre tener presente che “senza costruire, non vale neppure la pena di distruggere”.
Per queste ragioni secondo noi l’approccio organizzativo ad un corteo di seimila compagni che erano arrivati da tutta Italia imponeva scelte diverse. Molti partecipanti non conoscevano la strategia della piazza, non sapevano come muoversi, come dovevano comportarsi, come potevano esprimere la loro rabbia e solidarietà per il compagno Emilio. Dopo essere rimasti in attesa per ore, alcuni di loro hanno arrotolato bandiere e striscioni e sono tornati sui loro passi. E’ stata dura vedere migliaia di persone allo sbando, senza un minimo di organizzazione e indicazioni. Questa situazione che si è venuta a creare potrebbe essere produttiva per il futuro se riusciamo ad aprirci ad un confronto e ad un dibattito, a questo punto necessari e urgenti, all’interno del movimento per come affrontare le situazioni a venire.
Le varie culture antifasciste devono poter coesistere quando la chiamata alla manifestazione è nazionale. La guerra di movimento ha bisogno non solo di avanguardie consapevoli ma anche della “classe”. Per questo dobbiamo attivare la nostra intelligenza in vista delle prossime battaglie, lotte, manifestazioni, cortei, presidi.
Dobbiamo imparare a concordare e condividere le modalità, o per lo meno, se i rapporti di forza interni la vincono sugli obiettivi esterni, saper prendere le decisioni tattiche utili alla strategia che consideriamo indisponibile. Ricordiamo a tutti che le opinioni di questa nostra variegata galassia resistente e antagonista sono completamente ignorate fuori dal nostro perimetro rosso, salvo quando la società tutta, intorno al focolare mediatico, si unisce nella condanna delle nostre azioni, bloccando di fatto attraverso i media mainstream l’accesso alle ragioni stesse del nostro agire politico.
Non dimentichiamoci che la storia è fondamentale. Dobbiamo raccontarci altrimenti saremo raccontati, ma chi ha i mezzi mediatici all’interno del movimento per poterlo fare non può usare lo strumento in suo possesso ignorando il dibattito interno, altrimenti rientra nel gioco dell’ideologia borghese dominante che ci ignora.
Quest’anno cade il settantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, ottenuta combattendo con le armi in pugno. Peccato che l’amnistia Togliatti abbia vanificato il sacrificio di tanti partigiani combattenti per la libertà, ma soprattutto per la giustizia proletaria. Questa ricorrenza deve essere per noi l’occasione di un approfondimento di quel periodo storico che, per risultare interessante alle giovani generazioni di compagni, deve togliersi di dosso quella forma di revisionismo che, volendo angelizzare la Resistenza, la depriva dei suoi caratteri progressivi. Solo attraverso il racconto della verità, la sua forza propulsiva potrà risultare efficace per una ripresa della lotta nel nome di chi ha sacrificato la vita per permetterci di riprendere in mano il testimone di quella lotta.
La nostra azione deve saper individuare in questo momento di recessione le crepe che si stanno evidenziando nel sistema in crisi, e, con il cuneo della nostra differenza da esso, ampliarle in modo che si aprano voragini e il sistema crolli.
La struttura economica in cui viviamo è gerarchizzata. Noi all’interno del movimento dobbiamo bandire l’utilizzo di quelle stesse modalità gerarchiche che non ci permettono di costruire un’alternativa propositiva al sistema in questione. Ben vengano i dibattiti interni su temi così importanti come quello della manifestazione antifascista militante a Cremona. Proprio perché proviamo repulsione per l’ideologia borghese condanniamo le pratiche che inseriscono ”il reato di opinione” perfino all’interno delle varie mailing list. Questo reato esiste ancora nei meandri del nostro diritto penale, voluto dai fascisti, e passato indenne in questi ultimi sessantacinque anni da una repubblica all’altra; l’ultima vittima famosa di questo reato di stampo fascista è lo scrittore Erri De Luca per la sua presa di posizione in difesa del movimento NO TAV. Gli amministratori delle varie liste non possono cadere nella contraddizione e non dovrebbero arrogarsi il diritto di censura perché non possono ritenersi i detentori della verità. Eppure questa pratica di epurare i compagni dalle mailing list è in triste aumento.
L’antifascismo si declina anche con il confronto dialettico che è salvaguardia dell’intelligenza collettiva che impedisce la deriva servile dei compagni meno attrezzati politicamente. Pertanto riteniamo che, per rompere la connessione tra egemonia culturale e potere, noi dobbiamo marcare la nostra differenza attraverso il confronto e la dialettica interna.
“IL GREMBO CHE PARTORI’ LA COSA IMMONDA E’ ANCORA FECONDO”