IL 28 MAGGIO ANCORA SOTTO ATTACCO
Ieri sera, venerdì 4 marzo, mentre erano da poco iniziate le relazioni di Alessandra Kersevan e di Claudia Cernigoi, le due studiose delle vicende che durante la seconda guerra mondiale hanno devastato quello che nella retorica nazionalista è chiamato “il confine orientale”, i fascisti non hanno resistito al richiamo della foresta, e dall’alto della rampa che sovrasta il cortile del Centro Sociale 28 Maggio hanno lanciato un fumogeno che col suo lampeggiare ha indotto i partecipanti a precipitarsi fuori dal Centro Sociale, e a correre sulla strada per tentare di intercettare gli autori del gesto.
Naturalmente gli attentatori si erano già dileguati, probabilmente a bordo di una macchina, usata per arrivare al punto propizio al lancio e per fuggire subito dopo.
L’episodio in sé sembrerebbe di non grave entità, se non fosse il seguito diretto della provocazione compiuta nella notte tra il 10 e l’11 febbraio scorso, quando sull’ingresso del Centro Sociale furono appesi due manifesti, di cui uno, firmato da Brescia identitaria, propagandava una fiaccolata “in onore dei martiri italiani di Fiume, Istria e Dalmazia”; mentre l’altro era né più e né meno che il manifesto ufficiale della iniziativa del comune di Rovato, iniziativa che a sua volta era intitolata “SORDO RIMBOMBO – le foibe e l’esodo giuliano dalmata”.
La serata con le due studiose triestine intendeva appunto rispondere con la ragione, con la ricostruzione storica, con l’esame dei documenti, alla rozza propaganda e alla strutturale falsificazione della storia che ormai, dopo l’istituzione dello sciagurato “Giorno del ricordo” non è più armamentario dei soli fascisti, ma in qualche modo sono entrate “ufficialmente” e vergognosamente nel patrimonio della “Repubblica nata dalla Resistenza”.
E questa è stata la risposta fascista, che ancora una volta si presenta con sempre maggiore aggressività e spudoratezza, “sdoganata” a livello istituzionale dalla legge istitutiva di questa ricorrenza, punto di caduta di una lunga parabola compiuta negli ultimi decenni dalla politica italiana.
Infatti di assoluta gravità è la stessa istituzione di questo equivoco “Giorno del ricordo”, che in sostanza consiste nel riconoscimento da parte della Repubblica italiana di una equiparazione tra vicende non comparabili. Come disse Franco Giordano nel motivare l’opposizione al provvedimento da parte di Rifondazione Comunista, unico gruppo politico presente in parlamento a votare contro questa legge, una simile legge significava considerare la vicenda del “confine orientale” pari a quella : “del 25 aprile e di quella dell’Olocausto, in quanto stiamo parlando di fenomeni che non sono assolutamente equivalenti e la proposta di renderli equivalenti, in realtà allude ad un processo di revisionismo storico che cambia la natura dello Stato e della Costituzione antifascista”.
E in questo consiste la irrimediabile gravità di questa ricorrenza: essa legittima di fatto e di diritto la attività politica dei fascisti, che, come dimostrano drammaticamente gli episodi di San Colombano contro i profughi, non hanno affatto cambiato la loro natura; anzi si sono rafforzati e continuano la loro opera, approfittando anche dello spazio aperto dal “Giorno del ricordo” “verso un futuro di autentica riconciliazione della nostra Repubblica”, come pure si disse in Parlamento in occasione della approvazione della legge da parte di un deputato del centro-sinistra. Ed anche a Brescia conosciamo bene chi si è dato da fare molto da fare per questa mortale “riconciliazione”.
Ma perché è avvenuto questo rovesciamento? La risposta possiamo probabilmente trovarla negli ultimissimi fatti “internazionali”. È chiaro per noi che “l’autentica riconciliazione della Repubblica” per molti è, del tutto coscientemente, funzionale alla proiezione italiana nelle peggiori avventure neocoloniali, ad esempio nella prossima campagna di Libia. Reversione alla quale, ricordiamolo, ha dato un potente impulso l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 2007 e nel 2008 ha dettato la linea su entrambi fronti, quello del “confine orientale” e quello degli interventi armati all’estero: la “riconciliazione” dovrebbe fare degli italiani un unico blocco a sostegno di queste politiche. E ad un simile progetto noi, con le nostre forze, continueremo ad opporci.
LE COMPAGNE ED I COMPAGNI DEL CENTRO SOCIALE 28 MAGGIO
ALESSANDRA KERSEVAN
CLAUDIA CERNIGOI
Ogniqualvolta si presenta il 10 febbraio “giorno del ricordo” i neofascisti spalleggiati dalle istituzioni, che intendono pacificare il nostro passato, trovano modo di strumentalizzare e falsificare la storia, per questo abbiamo deciso di dare spazio alla verita’ con l’aiuto di due studiose ricercatrici che da anni si dedicano alle tragedie del novecento nelle terre del confine orientale. L’Italia fascista scrisse allora una delle nostre pagine piu’ nere, una pagina volutamente rimossa dalla nostra memoria nazionale. PARTECIPATE!!!
“CONCLUSIONI. Oggi dobbiamo constatare come nulla di quanto fatto finora per fare chiarezza abbia sortito qualche risultato. Le uniche cose che sono cambiate stanno invece, purtroppo, a “sinistra”: abbiamo infatti visto come sia invalso anche nella cultura “progressista” l‟abitudine di accostare, quando si parla dei crimini commessi alla Risiera di San Sabba (l‟unico campo di sterminio nazista presente in Italia, triste privilegio della nostra città) anche il “genocidio delle foibe”, e quindi la necessità, per un malinteso senso di par condicio, di recarsi alla “foiba” di Basovizza ogniqualvolta si va a rendere omaggio ai morti della Risiera. A parte che secondo noi non è vero che i morti sono tutti uguali, perché a seguire questa linea di pensiero dovremmo trovarci prima o dopo anche a portare fiori sul bunker di Hitler, riteniamo che, senza entrare nel merito politico del problema “foibe”, non sia accettabile, fondamentalmente da un punto di vista etico, che sia stato eretto a simbolo della controversa vicenda delle “foibe”, un falso storico quale è quello del pozzo della miniera di Basovizza. Perché noi, che siamo stati ripetutamente accusati dalla parte avversa di “non portare rispetto ai morti” quando trattiamo questi argomenti, riteniamo a nostra volta che a non portare rispetto ai morti sia piuttosto chi i morti li strumentalizza a fini politici e di odio etnico, come continua ad accadere da sessant‟anni. Ed è per tutti i motivi che abbiamo esposto qui sopra che nel 2005 abbiamo esposto la nostra ferma contrarietà a che il Comune di Trieste provvedesse alla cosiddetta “risistemazione” del monumento (lavori che hanno comportato alla fine anche dei pesanti danni ambientali in una delle poche zone ancora verdi del nostro Carso), stanziando per questo dei fondi che avrebbero potuto invece essere meglio utilizzati in ben altri modi. A questo scopo avevamo anche presentato un esposto alla Procura della Repubblica, avente come oggetto: Delibera consiliare 22 novembre 2004, n. 97 “progetto di sistemazione dei dintorni della foiba di Basovizza”. In data 25 ottobre 2005 Claudia Cernigoi e Samo Pahor hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Trieste, tramite la stazione dei Carabinieri di Basovizza, per chiedere la sospensione dei lavori di “riqualificazione” dell‟area circostante la cosiddetta “foiba di Basovizza”. Stante che nel corso degli ultimi cinquant‟anni dichiarazioni di uomini politici, storici e notizie stampa di varia provenienza hanno parlato di eccidi commessi nella zona nei primi giorni del maggio 1945 ad opera dell‟esercito jugoslavo, e che altre notizie e dichiarazioni di autorevoli personalità politiche (delle quali abbiamo allegato all‟esposto copia sia di una relazione del Comune di Trieste del 1954, sia le risposte ad interrogazioni parlamentari presentate nel 1959 dopo la copertura della voragine, copertura che l‟allora ministro Andreotti definì “provvisoria”) asseriscono la presenza di resti umani nella voragine a tutt‟oggi, il parere degli scriventi, nonché motivo dell‟esposto era che sarebbe stato necessario, prima di procedere a qualsivoglia risistemazione dell‟area, provvedere al recupero delle salme che da decenni si dice si trovino in fondo al Pozzo della miniera. La nostra richiesta era stata fatta ai sensi del comma 2 dell‟art. 116 delle norme di attuazione c.p.p. che recita: < Il disseppellimento di un cadavere può essere ordinato, con le dovute cautele, dall‟autorità giudiziaria se vi sono gravi indizi di reato >, nonché dell‟art. 50 del Regolamento di Polizia Mortuaria (DPR 10/9/90 n. 285), che prescrive che i cadaveri ed i resti mortali delle persone morte nel territorio del Comune, qualunque ne fosse in vita la residenza devono essere ricevuti nei cimiteri. In data 7/11/05 il nostro esposto è stato archiviato, su indicazione del dottor Nicola Maria Pace, Procuratore della Repubblica di Trieste, nel Registro degli “atti non costituenti reato”; tale tipo di archiviazione, ci è stato spiegato negli Uffici della Procura, non obbliga il Procuratore a motivare la propria decisione, né a darne notizia ai denuncianti. Di conseguenza, nel fascicolo relativo, abbiamo trovato solo copia della documentazione da noi presentata, la lettera di trasmissione alla Procura della Stazione dei Carabinieri di Basovizza e nel frontespizio le seguenti annotazioni a penna: “al Procuratore per Sue valutazioni, data la peculiarità dell‟esposto… io non credo si debba provvedere a sospendere (sic) un atto amministrativo, né c‟è alcun reato in corso”. Data 2/11/05, firma illeggibile (non è quella del dottor Pace). In seguito a questa dichiarazione, che non essendo più particolareggiata non ci permette di comprendere a fondo il motivo per cui quanto da noi denunciato non raffiguri alcun reato, dobbiamo per forza cercare di dare delle interpretazioni a quanto la Procura ha inteso sostenere. Se la Procura non ritiene necessario procedere ad un recupero delle salme presenti nel Pozzo della Miniera prima dell‟ultimazione dei lavori che potrebbero inibirne la successiva possibilità, nonostante tutte le notizie di presenza di dette salme (che potrebbero costituire i “gravi indizi di reato”), ciò può significare soltanto, a parere nostro, che la Procura non ritenga che vi siano salme ancora giacenti nel Pozzo suddetto: altrimenti ne avrebbe dovuto ordinare il recupero. A questo punto, però, dobbiamo ritenere che, oltre a quanto fu recuperato dalla voragine nel 1945 a cura degli angloamericani (il verbale di tali recuperi fu pubblicato sul “Piccolo” di Trieste il 31/1/95, e fu sintetizzato nelle seguenti parole scritte dal giornalista: < Ma una decina di corpi smembrati e irriconoscibili non dovevano sembrare un risultato soddisfacente e alla fine si preferì sospendere i lavori >. Di conseguenza, possiamo essere portati a pensare che oltre alla “decina di corpi smembrati e irriconoscibili”, già recuperati nel 1945, nel Pozzo della miniera non ci sono mai stati altri resti umani; che tutto quanto apparso sulla stampa, in testi storici, in dichiarazioni di intellettuali e di uomini politici rispetto alle “centinaia”, “migliaia” di infoibati, agli eccidi di Basovizza e via di questo passo, siano soltanto voci inconsistenti, non degne di essere considerate notizie di reato (chi parla di massacri avvenuti in un certo posto e di cadaveri ancora lì giacenti, cosa fa, se non comunicare di essere a conoscenza di un reato consumatosi?) da parte della nostra Procura della Repubblica. Però a questo punto potremmo anche ritenere che non solo la foiba di Basovizza non dovrebbe più essere considerata un monumento nazionale (monumento a ricordo di fatti che non sono avvenuti?), ma potremmo anche chiedere che le voci, non degne di fede, di coloro che continuano a parlare di eccidi avvenuti a Basovizza, quando la Procura non ritiene di dover agire per recuperarne i resti delle presunte vittime, vengano fatte tacere, in quanto false ed inattendibili, ed atte a turbare l‟ordine pubblico. E potremmo anche chiederci e chiedere alle autorità competenti, se sia congrua la spesa di 805.000 Euro, tratte dai fondi per le celebrazioni del cinquantenario del ritorno di Trieste all‟Italia, per “riqualificare” un monumento che non ha ragione di esistere, in quanto propaganda un falso storico.”